IL RAPPORTO CON L'AMBIENTE IN UNA PROSPETTIVA PSICOLOGICA. APPUNTI AUTOBIOGRAFICI [movimento 3 di 3]30/8/2023 Alcuni anni fa, sollecitato dall’Arch. Flore a contribuire ‘con uno sguardo da psicologo’ al volume ‘Il tempo della pietra’ (Adda editore; volume centrato sulla descrizione di un intervento particolarmente significativo di riprogettazione dell’ambiente realizzato in Valle d’Itria, per incarico dell’oncologo ed ex ministro prof. Veronesi) sollecitato e attratto da questa prospettiva ho alla fine deciso di accettare la sua proposta, reinterpretandola però (come sempre più spesso mi capita di fare) in chiave meta-cognitiva. L’impegno ha quindi costituito per me l’occasione per svolgere una riflessione sul mio rapporto con l’ambiente, e in particolare con quello specifico tipo di ambiente costituito da quel ‘perimetro di bellezza’ di cui in quegli anni mi era capitato di fare personalmente esperienza vivendo tra Ostuni, Valle d’Itria e Salento. Questa riflessione, come si potrà verificare proseguendo nella lettura, è pubblicata nel blog in tre passaggi, che ho chiamato ‘movimenti’, per indicare il rapporto dinamico tra di essi:
Terzo movimento. Tornando a Ostuni, alla Valle d’Itria e al Salento, e alla esperienza personale Questa breve incursione nel territorio della psicologia ambientale (per indicare la quale, come si può osservare, sto utilizzando una metafora ambientale: ho scritto infatti di ‘incursione in un territorio’; e questo spiega meglio di qualsiasi argomentazione la pervasività degli ‘schemi ambientali’ e del linguaggio ad essi associato nel determinare il modo in cui percepiamo il mondo[1]) aveva lo scopo di verificare se e in che misura il processo di trasformazione che negli ultimi dieci anni ha avuto luogo in me, e nel mio rapporto con Ostuni ed il Salento, costituisca un evento del tutto particolare ed idiosincratico, comprensibile solo alla luce della assoluta soggettività dello ‘sguardo’ che ciascuno di noi rappresenta; oppure possa essere ricondotto a leggi, regole o comunque dinamiche processuali tipiche, che caratterizzano le persone e (come si dice a volte con una espressione che decisamente non amo) le loro ‘modalità di funzionamento’. Credo che ciascuno possa rileggere, alla luce delle pur poche categorie interpretative proposte dalla psicologia ambientale che ho sinteticamente richiamato nella seconda parte del mio contributo, la propria personale esperienza di rapporto con i luoghi e gli ambienti (in questo caso con il meraviglioso territorio a cui si riferisce questo volume) e verificare ‘per sé’ se si sente in qualche modo ‘compreso e rappresentato’ dal linguaggio della ricerca scientifica, o se eventualmente resti ancora, per quanto lo riguarda, qualcosa di essenziale che resta inespresso, che ‘eccede’ la possibilità di quel linguaggio di esprimerlo. Per quanto mi riguarda, l’esercizio riflessivo in cui mi sono impegnato mi ha innanzitutto confermato che nella ‘buona psicologia’ possiamo trovare interessanti ed euristici strumenti per analizzare ed interpretare la realtà (in questo caso, la realtà costituita dal nostro rapporto con un luogo/ambiente) e perciò stesso strumenti utili per intervenire a modificare e migliorare tale realtà. Per limitarci ad un solo esempio, riflettere sul modello di S. Kaplan (quello che distingue quattro tipi di condizioni che dovrebbero essere soddisfatte per dare luogo alla valutazione affettiva positiva: coerenza, comprensibilità, leggibilità, mistero) può risultare di grande interesse ed anche di grande supporto ‘operativo’ per tutti coloro che se pure con diversa prospettiva abbiano a che fare con il problema di creare luoghi/ambienti (abitazioni, certo, ma anche villaggi e città, insediamenti più ampi con il loro paesaggio, ma anche territori, e intere comunità, ed altro ancora) in grado di generare benessere per le persone, oppure di migliorare la propria attrattività, di stimolare il desiderio di tornare o di abitare, ed il piacere di farlo. Ma queste considerazioni hanno a che fare con un criterio di pragmaticità e di strumentalità (rispondono alla domanda ‘a che cosa può servire ragionare in questo modo’) che è estraneo a questo volume e a questo mio contributo. Ciò che mi premeva è stato fatto: e devo riconoscere, al termine di questa incursione, che alcuni dei concetti e dei modelli proposti risuonano in me con particolare forza, suscitando quello che amo definire ‘effetto di verità’ (quando di fronte ad un enunciato noi ritroviamo pienamente rappresentato qualcosa della nostra concreta esperienza personale). Ad esempio trovo interessante il concetto di attaccamento (e quello connesso di attaccamento sicuro), e la sua relativizzazione alle diverse fasi del lifecycle delle persone, ed in particolare a quelle di maggiore vulnerabilità e dipendenza oggettiva e soggettivamente percepita; i concetti di schema ambientale, di affective appraisal e di coerenza cognitiva, di restorativeness (ma potremmo aggiungere altri concetti propri del linguaggio della psicologia ambientale, come ad esempio quello di place identity, mediante il quale la letteratura scientifica ha cercato di ‘dare un nome’ alla relazione che si viene a creare, per ciascuno di noi, tra la identità ed i luoghi di cui abbiamo esperienza nella nostra vita): si tratta di costrutti in ciascuno dei quali ho ritrovato qualcosa della mia esperienza personale di rapporto con quella parte di Puglia che ha preso progressivamente in me il posto che ‘nella mente e nel cuore’ era stato conquistato dalle Cicladi. Quando oggi sosto nel silenzio sulla veranda della piccola casa bianca che alla fine di questo lungo percorso di ‘addomesticamento’ ho deciso di costruire e di abitare, e contemplo il mare in lontananza, e la distesa di ulivi che porta ad esso, solo punteggiata ogni tanto dal bianco abbagliante di qualche trullo o lamia che svetta con discrezione sul verde argentato degli ulivi e sui muretti a secco, nei giorni in cui il cielo è di un azzurro intenso ‘da far male’, oppure nella stagione dei mandorli fioriti e del tappeto di fiori gialli sotto gli ulivi, ebbene nello stesso momento, ‘sento presenti’ nella mia mente le persone del luogo con le quali ho costruito nel tempo rapporti di fraternità e di amicizia; e ‘so’ (perché questa è stata la mia esperienza, che si è trasformata in consapevolezza) che quando, stanco di sostare, deciderò di muovermi verso altri luoghi (la città di Ostuni, o una delle tante altre che definiscono la trama del territorio salentino; ma anche una osteria, un ‘fornello’ o una pescheria, una enoteca, o una farmacia, o qualsiasi altro luogo ‘funzionale’) troverò cordialità, accoglienza, ospitalità[2]… Non solo l’una o l’altra di queste ‘qualità’, ma tutto questo, nel suo insieme[3] (e tanto altro ancora, che sfida la capacità del linguaggio ordinario di esprimerlo compiutamente; e che richiederebbe il poeta che non sono) costituisce per me una sintesi ‘olistica’ di quel ‘ben-essere e bene-stare’ che rappresenta un obiettivo sempre più preciso anche per la disciplina della quale mi occupo (la psicologia del lavoro e delle organizzazioni). Nel mio personale ciclo di vita, questo ‘ben-essere e bene-stare’ l’ho sperimentato e lo sto sperimentando qui, nell’intreccio dei legami della mia storia personale e familiare con la storia di questi luoghi e di questa comunità sociale, ed è stato particolarmente piacevole ripercorrere il sentiero attraverso il quale si è progressivamente sviluppato quel processo ‘creazione di legami’ (tra le persone; tra le persone e le rose) che il piccolo principe apprende dalla volpe, nella indimenticabile storia di A. de Saint Exupery. Il legame è dentro di noi, e la rosa non è tale finchè non lo diventa ‘per noi’ attraverso la cura e la relazione. Per questo Ostuni oggi è la mia rosa. [1] Lo psicologo Kurt Lewin ha utilizzato la topologia quale chiave descrittiva dei processi psichici. [2] Così efficacemente simbolizzato da quell’uso diretto del ‘tu’ nella interazione anche con chi non si conosce ed indipendentemente dagli ‘statuti’ professionali che costituisce una caratteristica nell’approccio relazionale: e pensare che all’inizio da questa ‘immediatezza’ mi metteva un poco a disagio. [3] Che, ritorniamo ancora alla psicologia della gestalt, è molto più della somma di quelle singole qualità.
0 Comments
Your comment will be posted after it is approved.
Leave a Reply. |
x
|