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Ritorno al Futuro
Bisogna ritornare sui passi già percorsi per ripeterli
e per tracciarvi a fianco nuovi cammini.
​

Bisogna ricominciare il viaggio.
​

Sempre.
Josè Saramago

L'IMPRESA DI AIUTARE LE PERSONE A FARE IMPRESA

13/7/2020

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Ho scritto le considerazioni che leggerete di seguito molto tempo fa, e le riscriverei oggi tali e quali.
 
Costituiscono il breve contributo che la fondatrice, e allora responsabile, di una struttura nata per aiutare i giovani a costituire imprese (Giovane Impresa) mi propose di scrivere per il volume, da lei curato, destinato a ricostruire e a ‘comunicare’ il senso di quella impresa (quella di aiutare gli altri a fare impresa), proprio nel momento in cui l’istituzione che l’aveva promossa aveva deciso di porre termine a quella esperienza ormai pluriennale.
 
Oggi che il tema dei giovani e quello della creazione di impresa costituiscono di nuovo (ma è mai accaduto diversamente, a ben vedere?) una priorità dell’agenda politico-istituzionale ed economico-sociale, ho ritenuto interessante e utile recuperare quel contributo.
 
E dopo averlo fatto, ho pensato che si tratti di considerazioni particolarmente appropriate alla mission che ho assegnato alla sezione ‘Ritorno al futuro’ di questo blog, destinata ad ospitare (come recita la specifica che accompagna il titolo) ‘pensieri, proposte e progetti elaborati nel corso del tempo, e che possono costituire una risorsa per affrontare il futuro’.
 
Ecco dunque di seguito il testo, perché anche voi lo possiate valutare
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Questo contributo consiste nello svolgimento di due questioni, nella economia consentita dal progetto editoriale di questo blog.
 
Il primo punto di riflessione è in un certo senso generale ed astratto (ma ha conseguenze estremamente concrete sul piano operativo), ed è formulabile nella domanda 'Quali sono, e di che natura, le condizioni in grado di favorire o, all'opposto, di ostacolare il fatto che le persone riescano a fare impresa?'
 
Con questo interrogativo, ho immaginato che la direzione e gli operatori di ‘Giovane Impresa’ si siano trovati più di una volta a confrontarsi, nel corso della loro avventura (che come sempre avviene sarà stata culturale, professionale e personale - non necessariamente in quest’ordine); perché chiedersi questo significa in fondo chiedersi da che cosa dipende, in ultima istanza, la possibilità di successo della propria impresa (in questo caso, l’impresa di aiutare gli altri a fare impresa).
 
Ed ho immaginato il tempo dedicato a riflettere (insieme agli altri ma anche nel proprio ‘teatro interno’) tra le due diverse prospettive che in questi anni, con alterne vicende, si sono contese il campo su questo tema, quantomeno nel nostro Paese: da un lato la prospettiva del locus of control interno, secondo la quale il successo del fare impresa dipenderebbe essenzialmente dalle caratteristiche personali degli individui (motivazionali, attitudinali, di competenza, di personalità, etc.); e dall'altro quella del locus of control esterno, secondo la quale esso dipenderebbe invece in ultima istanza dalle caratteristiche del contesto (economico-produttivo, normativo-istituzionale, finanziario, culturale, etc.).
 
Ed ho pensato a quanto la loro mente abbia potuto nel tempo anche oscillare tra queste due diverse prospettive, in bilico tra la pressione delle concezioni di volta in volta vincenti nel dibattito scientifico ed in quello politico-istituzionale e la tentazione (il bisogno) di dare credito alla propria esperienza, alla propria ‘clinica’, che si veniva via via sviluppando e consolidando.
 
Non deve essere stato facile scegliere tra le diverse soluzioni operative (le metodologie di  intervento, gli strumenti) che le diverse concezioni necessariamente implicano: nel primo caso (locus of control interno) lavorare con l’informazione, con la formazione e con la consulenza sulle persone, sulle loro risorse, aspettative, rappresentazioni, sulla loro consapevolezza, attivazione, motivazione, sulla stessa loro capacità di pensare e di progettare; e nel secondo caso invece (locus of control esterno) lavorare sulle condizioni ambientali: le risorse del contesto, le politiche di sviluppo, le norme di sostegno, le risorse finanziarie, i servizi di supporto.
 
Ed ho immaginato che il gruppo professionale che ha nel tempo condiviso l’impresa di aiutare gli altri a fare impresa’ si sia trovato spesso a riflettere sul fatto che in realtà si tratta di una falsa alternativa, nel senso che il successo del fare impresa è funzione non di uno dei due elementi (dei due ‘locus’; delle due polarità), bensì della loro relazione (non importa quanto simmetrica); ed a riflettere sul fatto che ‘Giovane Impresa’, quando ha funzionato, ha costituito un dispositivo di modulazione tra interno ed esterno, tra individuo e contesto, tra caratteristiche, storie, risorse personali da un lato e risorse ambientali dall'altro.
 
Un dispositivo di modulazione non è semplicemente un’interfaccia, un connettore di due realtà date: è un elemento che agisce, che interviene su quelle realtà (l’individuo; l’ambiente), che le aiuta a cambiare per ‘accogliersi’ meglio, per convivere, per migliorare insieme, per fare emergere dal loro incontro una qualità diversa e migliore, che non era presente prima in nessuna delle due realtà prese a sé stanti (anche perché l’ambiente è, alla fine, in buona parte ciò che la persona riesce a farlo diventare).
 
Questo intervento costa fatica, sconta inevitabilmente anche insuccessi, che insinuano momenti di depressione nella disposizione ottimistica e nell'entusiasmo che non di rado costituiscono il ‘tono’ di chi si occupa di fare impresa.
 
Certo, in base alla propria visione, alla propria etica (come dovrebbero andare le cose) ed estetica (come ci paiono ‘belle’ le cose, come ci piace pensarle/vederle) ciascuno di noi propende inevitabilmente per l’una o l’altra delle due polarità (interno/esterno), e di conseguenza, sceglie di adottare differenti modalità di ‘aiutare gli altri a fare impresa’: c'è chi lavora sul contesto, sull'ambiente, cercando di preparare il terreno perché si possa dare vita a una impresa; e c'è invece chi è portato a privilegiare la relazione con gli individui, con i potenziali imprenditori, lavorando sulla persona e cercando di preparare il terreno ‘interno’.
 
Credo che nessuno possa davvero pensare che si tratti soltanto di una scelta razionale, in base alla quale chi aiuta gli altri a fare impresa, avendo valutato le alternative, i motivi dell’una posizione e dell’altra, alla fine sceglie quella per lui più convincente, e che presenta argomenti più solidi.
 
Credo invece che questa scelta sia una scelta in gran parte emotiva, intrisa dei propri desideri e delle proprie paure, pre-razionale, influenzata dalla valutazione di sé e delle proprie caratteristiche, e costituisca il risultato di un’etica ed un’estetica (che insieme fanno una concezione) maturate nel corso della propria esperienza, anche lontano nel tempo, e che in questa scelta giochi un ruolo importante ciò che si è sperimentato, nella propria vicenda personale, come difficoltà, come mancanza, che dentro lascia un desiderio, una tensione e una disposizione che prendono la forma argomentativa di una teoria o di una scelta razionale, oppure si risolvono, più semplicemente, in un approccio operativo e in una pratica, ma che hanno quell'origine.
 
Questa considerazione mi ha portato alle soglie del secondo punto di riflessione che il pensiero di ‘Giovane Impresa’ mi ha sollecitato: si tratta di un punto meno generale ed astratto del primo, più particolare e concreto, personale e specifico; ed è formulabile nell'interrogativo ‘Perché accade a qualcuno, ad un certo punto del proprio percorso, di trovarsi ad aiutare gli altri ad intraprendere?’; perché qualcuno intraprende ‘l’impresa di aiutare gli altri a fare impresa’?.
 
Qualche tempo fa (tanto tempo, sembra) aveva una certa diffusione l’espressione ‘il personale è politico’: in questo caso, invece, il personale è il banco di prova specifico alla luce del quale mettere alla prova le teorie e gli approcci di riferimento che si utilizzano per valutare i fenomeni e per intervenire sulla realtà, al fine di verificare le proprie etiche ed estetiche.
 
Ciò significa che cercare di comprendere perché ad un certo punto della propria esistenza chi ha promosso ‘Giovane Impresa’ si è trovato (non ho scritto ‘ha deciso’: e questo non è senza significato) a ‘fare l’impresa di aiutare gli altri a fare impresa’ è un esercizio cruciale, se si vuole rischiarare di luce la stessa dinamica del fare impresa: chi si trova ad aiutare gli altri potrà aiutarli quanto più avrà riflettuto su di sé, sui suoi perché e sui suoi come.
 
Certamente, ‘Giovane Impresa’ sarà stata il risultato di qualcosa che è avvenuto ‘dentro’ chi l’ha promossa (locus of control interno: idee, interessi, tensioni, capacità, progetti,  etc.), che è entrato in relazione con condizioni, risorse, opportunità che erano ‘fuori’ (nell'ambiente istituzionale, nelle relazioni sociali, nel contesto socio-economico, nella cultura: locus of control esterno): questa relazione ha generato (come qualità emergente, direbbero gli studiosi dei sistemi complessi) qualcosa che prima non esisteva, e comunque non in questa forma.
 
Dal mio punto di vista questo è decisivo: ‘Giovane Impresa’ non avrebbe assunto questa forma (forse non ne avrebbe assunta alcuna, ma naturalmente è impossibile provarlo) senza la capacità di chi vi ha svolto funzione imprenditoriale di attivare l’ambiente, e di fare sì che in quel contesto qualcosa che prima non esisteva ‘prendesse forma’, e vita (ecco perché, in senso tecnico e non retorico, l’impresa è sempre creazione).
 
Naturalmente, l’origine e la natura di questa peculiare capacità sono tutte da indagare, e questo è il vero problema che ritorna: capire perché accade che le persone, ad un certo punto, facciano quello che fanno (problema non nuovo, con tutta evidenza, ma non per questo eludibile da chi non voglia semplicemente trascorrere il tempo ‘occupandosi di qualcosa’).
 
Per noi, che stupiti (come sempre dovremmo essere di fronte a un’impresa) guardiamo a questa storia che oggi si trasforma in qualcosa d’altro, resta la curiosità e il desiderio di capire qualcosa di più dei ‘cavalieri che fecero l’impresa’: senza spiegarceli, è difficile pensare che saremmo davvero in grado di fare altre imprese, o di aiutare a farle.
 
Ma nello stesso tempo, che resti sempre uno scarto, qualcosa di inesprimibile, qualcosa che continua a sfuggire alla nostra pretesa di formalizzazione e di spiegazione del comportamento delle persone è ineludibile, ed io credo che sia motivo di gioia e di speranza, e non di depressione.
 
Così come credo che sarebbe importante che coloro che si occupano di servizi per il lavoro, di orientamento, di formazione, di relazioni di aiuto riflettessero di più su questo: in particolare oggi che le parole-chiave stanno diventando bilancio, validazione e certificazione.
 
Parole che se da un lato sembrano prefigurare nuove opportunità per i protagonisti del mondo del lavoro e della formazione, dall'altro lato, contemporaneamente, con la loro collusiva promessa di misurazione, di certezza, di definitività sembrano fatte per rimuovere il pensiero della fragilità e della precarietà (e per questo, della miracolosa poesia) di ciò che le persone sono, di ciò che tutti noi siamo.

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