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Il Tempo Presente
Tra il prima e il dopo c'è il mentre
Lanfranco Pace

L’INTEGRAZIONE: ALCUNE QUESTIONI-CHIAVE (3/4)

15/4/2020

1 Comment

 
L’integrazione richiama l’idea di soggetti diversi, con identità diverse ma precise, forti (per quanto è dato nel contesto attuale e nell’esprit du temp: potremmo dire winnicottianamente ‘abbastanza forti’), che cooperano in funzione del raggiungimento di obiettivi condivisi, mettendo in valore le proprie risorse e qualità.
Anche se c’è tuttora un vivace dibattito al riguardo, per la maggior parte degli autori ciò non significa che vi debba essere (a monte) una condivisione di valori (per il filone di pensiero più scettico, ciò è dovuto al fatto che nella società attuale valori condivisi non potrebbero proprio esistere): in tal senso, l’integrazione indicherebbe soltanto la forma istituzionale ed organizzativa strumentale al raggiungimento di obiettivi comuni, pertinente, coerente, ed avrebbe quindi a che fare più con l’universo dei mezzi che con quello dei fini.
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Nell'esempio in figura, nonostante il fine sia lo stesso, cioè quello di fare il caffè, i processi e i mezzi utilizzati possono variare, portando ad esiti simili, ma qualitativamente diversi.
Naturalmente, le considerazioni finora svolte sull'integrazione lasciano aperte alcune questioni essenziali (che sono poi quelle per cui a volte - o in certi contesti - l’istanza della integrazione viene vissuta con diffidenza, con sospetto, quando non addirittura con estraneità).

Vediamole con ordine:
​
  • ​una prima questione è sintetizzabile nell’interrogativo ‘chi decide gli obiettivi del sistema’ (e cioè chi definisce lo stato ideale finale del sistema che i comportamenti integrati sono mirati a raggiungere, e cioè ancora chi decide la finalità della integrazione, ciò a cui essa tende): perché l’integrazione si trasformi da istanza super-egoica e ‘doverizzazione’ o da principio illuministico iper-razionale (‘olimpico’, direbbe Simon) in comportamenti concreti delle persone che ai diversi livelli abitano il sistema e lo fanno vivere (e quindi possono o meno fare integrazione), occorre che le persone condividano gli obiettivi, la finalità. Sotto questo profilo, i dispositivi e le modalità di partecipazione e di coinvolgimento, e gli stili di management sia politico-istituzionale che organizzativo hanno un impatto decisivo nel determinare la qualità dell’integrazione che si realizza.
​​
  • una seconda questione ha a che fare con il fantasma della perdita di identità che i processi di integrazione sollecitano: integrarsi richiede la (ri)negoziazione dei confini reciproci, e può scatenare ansie da dispersione (non so più chi sono); ma l’integrazione può anche costituire una grande occasione di apprendimento: come è stato già osservato, integrarsi richiede o comunque sollecita la definizione della propria identità distintiva (si tratti delle politiche e della mission, del posizionamento, dell’approccio al mercato o ai clienti per una organizzazione; oppure delle competenze, dello stile di lavoro, della personalità per un individuo) e consente di perseguire obiettivi che da soli non si sarebbe stati in grado di raggiungere.
 
  • una terza questione, in parte connessa a questa, ha a che fare con la eventuale mancanza di una sufficiente autostima e fiducia in sé stessi (da parte delle persone, delle organizzazioni, dei sistemi): dal momento che non si confida abbastanza sulle proprie capacità (quantomeno in relazione agli altri soggetti con i quali ci si dovrebbe integrare), si ha il timore che nell’integrazione finisca per essere valorizzato maggiormente il contributo degli altri partner; si teme di perdere ruolo e visibilità; che significa consenso e mercato, e ‘presa’ sui clienti-utenti.
 
  • una quarta questione ha a che fare con la resistenza naturale che tutti avvertiamo di fronte all’ignoto: la mancanza di conoscenza delle caratteristiche dei soggetti, delle organizzazioni o dei sistemi con i quali dovremmo integrarci (chi sono; cosa fanno e come lo fanno; cosa cercano di ottenere) favorisce un atteggiamento di cautela, e non di rado di diffidenza e di vera e propria chiusura nei confronti degli altri e della collaborazione con loro.
 
  • una quinta questione ha a che fare con l’impegno, l’applicazione e la fatica che l’integrazione richiede (cura, attenzione, disponibilità, energia, tempo, relazioni, committment procedure): anche se si viene ripagati dalla qualità del risultato, nondimeno (in particolare nella fase di avvio dei processi) integrarsi è stressante, è costoso per le persone, per le organizzazioni, per le istituzioni, e richiede quindi motivazioni forti, anche intrinseche.
 
Questa sintetica ricognizione delle ragioni di difficoltà dell’integrazione ci conduce ora alla soglia dell’ultima parte della riflessione che sto proponendo: quella relativa alle infrastrutture necessarie affinché essa sia realizzabile e sostenibile (to make it happen) da parte dei diversi soggetti che intendono (o sono chiamati a) intraprenderla.
 
Ne tratterò nel prossimo ed ultimo intervento.
Immagine d Turgay Mutlay 
1 Comment
UGO VIRDIA
22/4/2020 12:37:09 pm

Sono anche io in attesa della tua ultima riflessione sul tema dell’integrazione.
Molto interessante, in particolare nel tempo presente, la via da te tracciata per rivalutare l’autostima – potente il riferimento all’autostima delle organizzazioni - e, nello stesso tempo, sostenere il rischio di muoversi in situazioni non note, ignote.
Pensando alle “infrastrutture necessarie”, per reggere autostima e incertezza, mi sembra importante la necessità di appoggiarci su sistemi affidabili, sull’efficacia dell’azione lavorativa, sul valore delle competenze delle persone che lavorano.
Banale certo! Ma condizione necessaria per fidarsi dell’altro e valorizzare se stessi senza bluff.
Complicato però è essere affidabili e contestualmente accettare l’incertezza. Definizioni rassicuranti, a volte aggressive, poco reggono a continui mutevoli cambiamenti di contesto. Penso all’uso difensivo di repertori, procedure di controllo, burocrazie. Mi vengono in mente proprio adesso questi pensieri, perché mi sembra che in questo momento, di emergenza/bisogno di salvezza, sia ancora più chiaro quanto sia necessaria la competenza, l’affidabilità nel mentre si ha la consapevolezza che non tutto possa essere rassicurante.
In attesa. Grazie

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