In questo modo, il titolo intende suggerire una considerazione che non è per nulla scontata nella cultura italiana (e in quella politico-istituzionale in particolare, così poco attenta a quelli che con termine forse troppo specialistico vengono definiti processi di implementazione): intendendo con tale termine riferirsi a tutte le attività operative, di diverso genere, che sono necessarie perché una qualsiasi decisione (politica, strategica, o comunque programmatoria) possa trasformarsi in un ‘cose concrete’ che ne rappresentino la affettiva realizzazione. Nel nostro Paese infatti il discorso pubblico politico-istituzionale (e anche la cultura più profonda che lo alimenta e lo sostiene) ha in genere privilegiato le grandi affermazioni di principio, l'enunciazione delle politiche (a volte addirittura la loro semplice anticipazione, il loro solo annuncio): chiedendo magari consenso e legittimazione su programmi effettivamente di alto profilo, ma arrestandosi sulla soglia della loro implementazione, e rinviando ad altri la responsabilità della creazione delle condizioni di diverso ordine (culturali, infrastrutturali, organizzative, procedurali, metodologico-professionali, operativo-strumentali) che sono invece l’unica e stretta via che ne può consentire la realizzazione concreta. Il ‘peccato di testa’ [2], in questi casi, consiste nella errata presunzione che ciò che conta sia appunto la enunciazione della policy, rispetto alla quale poi l’intendance suivrà: perché si ritiene che il resto sia dettaglio operativo del quale si potranno e dovranno occupare diligentemente i collaboratori (oppure, in una variante dell’approccio, i tecnici). E invece occorre riconoscere (lo sappiamo ormai ‘per scienza ed esperienza’) che c’è un fare senza il quale il nostro dire, per quanto ‘alto’, non sarà mai in grado di farci raggiungere il mare delle nostre strategie e dei nostri obiettivi: e questo fare (ecco dove sta il problema culturale) non è qualcosa di meno nobile o comunque di meno rilevante, e di cui si debbano comunque occupare altri da coloro che prendono le decisioni ‘alte’. Questo fare è di ordine diverso: costruzione di infrastrutture e dispositivi; attivazione e presidio di strutture e processi organizzativi; sviluppo di professionalità e competenze; monitoraggio in progress di innovazioni (assetti, servizi, modelli gestionali, etc.) e loro attenta valutazione. E questo fare richiede presidio, tempo, cura, proprio in un contesto e in una fase in cui il tempo è una risorsa sempre più scarsa in relazione alla molteplicità delle informazioni, delle attività, delle relazioni da presidiare: configurando in questo modo una delle più evidenti antinomìe con cui chiunque è chiamato oggi a misurarsi. Navigare nelle antinomìe, trovando un punto di equilibrio ‘alto’ tra esigenze inconciliabili e che però vanno considerate e rispettate con la stessa attenzione, sporcandosi le mani con i processi di implementazione: questo è il problema politico, imprenditoriale e manageriale oggi, oltre la pur necessaria enunciazione di una policy. Se non si vuole che le politiche del lavoro facciano, nel nostro Paese, la fine che hanno fatto fino ad ora, occorre che esse siano pensate, progettate e programmate contestualmente alla loro implementazione, e con una attenzione diversa a tutte quelle dimensioni (le infrastrutture; l’organizzazione; etc.) che sole possono consentire to make it happen. Lo spessore organizzativo, amministrativo e procedurale dei processi di implementazione delle decisioni politiche; il fisiologico ‘attrito’ che queste generano, anche in relazione ai naturali e legittimi interessi dei diversi stakeholder; l’intreccio tra dimensioni strutturali e dimensioni personali quando sono in gioco processi di cambiamento istituzionale e organizzativo: sono soltanto alcune delle questioni troppo spesso rimosse nei programmi, e non presidiate nelle realizzazioni. Di qui, da questa parziale cecità, o comunque da questo strabismo (in base al quale in primo piano e bene a fuoco sono sempre e solo le questioni ‘macro’, dalla governance alla definizione delle competenze dei diversi soggetti e tra i diversi livelli; mentre il resto rimane in uno sfondo opaco e non di rado inattingibile) origina la storica disattenzione italiana alla cura dei processi amministrativi, organizzativo-professionali e procedurali, senza i quali le politiche rimangono vuoto enunciato, e nulla succede davvero. Come dimostra l’esperienza di tante innovazioni nella pubblica amministrazione italiana: si pensi ad esempio alla introduzione dei sistemi di valutazione della performance. Occorre superare la coazione a ripetere (quella sorta di impulso perverso per cui ogni volta di tende a riproporre l’atteggiamento in base al quale sembra che il problema sia risolto enunciando una soluzione, anziché praticandola) che finora troppe volte ha caratterizzato e distinto l’approccio italiano alla innovazione dei servizi per il lavoro (e non solo). E promuovere l’avvio di una stagione davvero nuova, nella quale il cambiamento non si limiti alla architettura del sistema, alla governance e alla articolazione delle competenze istituzionali, ma riguardi davvero i processi organizzativi, i ruoli e le professionalità, i servizi erogati e le metodologie adottate, la loro qualità e i loro risultati per le persone e per le imprese. Per evitare che, come troppo spesso è accaduto in passato, la ‘bella policy’ o la ‘grande strategia’ (il dire) non riescano a raggiungere gli obiettivi pur nitidamente individuati ed enunciati (il mare) per non avere per tempo, con la necessaria umiltà, riconosciuto quanto per tal fine sia altrettanto necessario pre-occuparsi del fare, e cioè di tutto ciò che riguarda il la realizzazione. Occorre cambiare lenti, ma ancor più, cambiare sguardo, e mindset. [1] Cfr. P.G.Bresciani, A.Sartori Innovare i servizi per il lavoro. Tra il dire e il mare… Apprendere delle migliori pratiche internazionali, Franco Angeli 2016 [2] G.P. Ceserani Peccati di testa Laterza 1982 Immagine di Ricardo Esquivel da Pexe
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PIER GIOVANNI BRESCIANIPsicologo, Fondatore di Studio Méta & associati, Professore a contratto presso Università di Urbino |