PERCHÉ LA COMPETENZA - PREFAZIONE DE "LA COMPETENZA. APPUNTI DI VIAGGIO, OLTRE L'ORIZZONTE"25/5/2023
Riprendo dopo una lunga pausa (peraltro piena di attività sul campo, pensieri e scrittura), gli appuntamenti periodici sul blog. E inauguro questa nuova fase con la prefazione al volume che nel frattempo ho pubblicato per i tipi della Franco Angeli, nella collana "Tempo sapere esperienza". Il volume si intitola "La competenza. Appunti di viaggio, oltre l'orizzonte" e costituisce il mio personale 'bilancio di competenze' su un tema sul quale svolgo, da oltre trent'anni, attività di ricerca, consulenza, formazione. Il testo che segue costituisce l'introduzione al volume: nella quale cerco di pensare "a voce alta" (thinking aloud) alle ragioni di carattere personale per le quali il costrutto di competenza ha costituito nel tempo per me un oggetto di riflessione così interessante, attrattivo, costante.
Dal prossimo mese prenderà avvio una serie di iniziative di confronto pubblico nell'ambito delle quali il tema della competenza e delle sue diverse accezioni, declinazioni e implicazioni verrà affrontato nella forma di un confronto a più voci programmato in modo ricorrente (prendendo spunto ogni volta da qualche suggestione contenuta nel testo) tra discussant appartenenti a contesti professionali e ad ambiti disciplinari diversi. Chi è interessato a seguire il percorso di questa riflessione potrà trovare sul blog informazioni sugli incontri e sulla possibilità di parteciparvi. Perché la competenza Ho pensato molto a come introdurre questo volume. Lo straordinario di ogni inizio è che in quel momento si può ancora (almeno nel proprio immaginario: poi si scopre progressivamente che le cose sono un poco più complicate) costruire qualsiasi tipo di storia/esperienza. Per questo mi piace tanto sostare nell’inizio, mi piace cominciare, e pensare a come farlo (anche perché se è vero, come scrive Cesare Pavese, che ‘vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante’, è vero anche che ‘cominciare è vivere’: e credo che proprio in questo stia ciò che, degli inizi, mi ha sempre attratto). Questo è però anche, almeno per quanto mi riguarda, ciò che genera ansia e disagio: perché poi in qualche modo nella ‘materialità’ dell’atto di scrittura e nella sequenzialità della argomentazione (così come nel corso della nostra esistenza) occorre decidere, e quindi ‘tagliare’, operare una scelta tra diverse forme/contenuti, tra diversi mondi possibili. Alla fine, la soddisfazione e il piacere (fino alla gioia e all’euforia, a volte) per ciò che si sarà creato, si accompagnano alla delusione e a un poco di malinconia (con toni depressivi, a volte) per tutto quello che per ciò stesso non si sarà riusciti a costruire: e in questo modo si sperimenta quel particolare tipo di ambivalenza che in tante occasioni è dato a ciascuno di noi di incontrare nel corso dell’esistenza (o, come si potrebbe dire con un linguaggio più generico ma non per questo meno appropriato, ‘nelle cose della vita’). Nel caso di questa introduzione, l’alternativa sulla quale ho sostato ‘con la penna in mano’ era tra iniziare a scrivere richiamando le ragioni là fuori di ciò che è stato definito ‘paradigma delle competenze’ (cioè le ragioni che hanno contribuito al suo affermarsi nel nostro Paese in tanti e diversi ambiti socio-istituzionali, organizzativi, formativi e professionali, almeno a partire dall’inizio degli anni ’90); oppure iniziare cercando di svolgere qualche riflessione sulle ragioni qui dentro: e cioè interrogandomi su perché proprio quello della competenza sia diventato per me, nel tempo, un tema così importante, oggetto di una attenzione così costante, metodica, puntuale, sia sul piano della elaborazione teorico-concettuale che su quello della pratica professionale. Naturalmente, ero consapevole che per molti di coloro che avrebbero affrontato la lettura del volume, quello che interessava sarebbero state essenzialmente le ragioni ‘là fuori’: ma allo stesso tempo sapevo che diversi dei contributi di cui questo testo è costituito trattano proprio di questo tipo di ragioni; e che quindi chi cercava questo tipo di risposte le avrebbe comunque trovate, adeguatamente argomentate, nel corso della lettura. Inoltre, come usa dire in una delle sue più efficaci interpretazioni, con tono ironico e assertivo allo stesso tempo, un attore comico che apprezzo, so che ‘ho già risposto a questa domanda’: nel senso che ad esempio la introduzione al mio volume precedente su questo tema (o ancor meglio, l’intero mio volume precedente) soddisfa già ampiamente questo tipo di esigenza[1]. La consapevolezza che questa aspettativa dei potenziali lettori sarebbe stata comunque corrisposta (ho imparato col tempo che il desiderio, che poi diventa bisogno, di non deludere le aspettative è un’altra delle mie caratteristiche, che come tale e come sempre è un limite e una risorsa allo stesso tempo), mi ha in qualche modo liberato e ‘assolto’ di fronte a me stesso (assoluzione che era ciò che auspicavo e cercavo, naturalmente), dall’onere di una spiegazione che attenga alla dimensione che nel volume definisco ‘pubblico-istituzionale’, in antitesi a quella ‘privato-personale’; e ha quindi costituito il viatico decisivo per spingermi a fare ciò a cui più mi sentivo in realtà tratto. E cioè mi ha spinto a dedicare queste brevi note iniziali ad una riflessione di ordine diverso (ma non per questo meno interessante: almeno per me, e mi auguro anche per chi sta leggendo), che si è fatta strada progressivamente nella mia mente e nella mia scrittura (abbiamo un bel dire: alla fine dobbiamo rassegnarci al fatto che, quando scriviamo, le considerazioni ‘trovano la loro strada’; e per fortuna, aggiungerei), e che riguarda le ragioni più personali e profonde di un impegno così continuo e intenso, nel corso degli anni, come quello che ho dedicato al tema della competenza[2]. Di quale tipo di ragioni si tratta, dunque? Si tratta, se appena ci si inoltri oltre la superficie (e nella consapevolezza che ciò cui avremo accesso in questo modo sarà temporaneamente solo un’altra superficie, secondo la spaesante suggestione di Deleuze), di ragioni che non hanno a che fare solo, come potrebbe sembrare naturale, con la ‘emergenza’ del tema ‘là fuori’ (nella logica per la quale quando un tema si impone all’attenzione, tanto da diventare in alcuni momenti una moda del tempo, come è capitato alla competenza, siamo portati ‘reattivamente’ ad occuparcene, per motivazioni sia di ordine teorico-concettuale che pratico-strumentale), ma hanno a che fare anche, in modo assolutamente intrecciato a queste, con alcune ragioni ‘qui dentro’, che attengono in questo caso alla mia storia, alla mia esperienza, alla mia identità[3]. Credo di potere affermare, con serena autoconsapevolezza e senza timore di delirio, che della nascita, dello sviluppo e del ‘consolidamento’ di questo tema nel contesto nazionale sono stato ‘proattivamente’ uno dei principali artefici nel Paese, almeno negli ambienti scientifici, istituzionali, accademici, organizzativi e professionali che ho frequentato e in cui ho operato. Non mi sento quindi come qualcuno che ha ‘seguito la tendenza’, anzi semmai ritengo di avere per la mia parte contribuito a crearla, e ad affermarla. Acquisito ciò, quindi, le parole che seguono rappresentano il mio tentativo di riflettere, nello spazio di una breve introduzione, sul ‘perché’ mi sono trovato (perché questo succede, con buona pace di chi pensa che decidiamo sempre tutto consapevolmente e razionalmente; e sono ancora tanti) a contribuire alla creazione di questa tendenza; e cioè su quale sia quel secondo e diverso tipo di ragioni che ho definito sinteticamente ‘qui dentro’, e che evidentemente hanno a che fare ‘con me che osservavo il mondo’ piuttosto che con ‘il mondo che osservavo’ (e che interpretavo, e sul quale poi intervenivo professionalmente). Con il trascorrere del tempo (con lo studio, la riflessione e l’esperienza) apprendiamo che ciò che diciamo, scriviamo e facciamo si inscrive sempre, in qualche modo, in un orizzonte di senso. Non è per caso che ‘tempo sapere esperienza’, senza virgole, è la denominazione che fin dall’inizio ho voluto per la collana editoriale in cui è collocato questo volume. Nel mio vocabolario (ognuno di noi ne ha uno privato-personale, che si accompagna a quello pubblico-istituzionale), intendo per senso la versione individuale e idiosincratica del significato: in questo mio vocabolario, il significato può essere quindi condiviso e ‘comune’, laddove il senso è invece sempre e solo personale, unico, irriducibile. Se posso condividere il significato che attribuisco al termine ‘competenza’, il senso che esso ha per me resta invece qualcosa di assolutamente legato alla mia esperienza e alla mia storia personale (sia sul piano fisico-sensoriale che sul piano culturale-intellettuale, cognitivo ed emotivo), alla unicità costitutiva del mio sguardo, e di ciò che sta dietro quello sguardo, comunque lo si voglia intendere. L’esperienza del senso se da un lato certamente è esprimibile, e quindi può essere fatta oggetto di ‘transazione’ e di ‘convenzione’ con gli altri, dall’altro lato è altrettanto certamente incomunicabile e non trasferibile: ciò che possiamo fare quindi è tutt’al più cercare di esprimerlo, il ‘nostro’ senso, nelle forme e con gli strumenti che la nostra storia ci ha consentito (e messo in grado) di utilizzare. Così espresso, il ‘nostro’ senso può incontrare l’ascolto e la sensibilità di altri (commentando il volume di un altro autore, le ho non a caso definite ‘consonanze’[4]), e da questo incontro fortuito (come a volte mi è capitato: ed è una esperienza straordinaria, che a pensarci ha del miracoloso) si possono generare opportunità non previste, non programmate, non pensate. La mia scelta ‘ostinata e contraria’ (secondo la bella formulazione di Fabrizio De André) di continuare ad esprimere in questi anni ‘il senso’ che ha progressivamente assunto per me la competenza, anche quando questo tema, affermandosi ‘finalmente’ nel dibattito socio-istituzionale, ha dovuto pagare un prezzo davvero molto alto in termini di semplificazione e ‘riduzione’, mi ha consentito di incontrare persone, organizzazioni, istituzioni con le quali non sarei altrimenti entrato in contatto; e ne sono sorti risultati non di rado inattesi e comunque preziosi: a volte semplice conoscenza reciproca; a volte relazioni interpersonali ‘consistenti’ e che hanno resistito nel tempo; altre volte attività professionali di formazione e consulenza; oppure progetti di ruoli e dispositivi innovativi, o ancora orientamenti strategici e indirizzi istituzionali. E il saldo di tutto questo è stato per me straordinario, anche se questo tema (come a volte è accaduto e ancora accade) è stato a volte oggetto di ‘appropriazione’, di riduzione e di banalizzazione da parte di soggetti che ne hanno colonizzato scaltramente il territorio, magari per offrire risposte illusorie o collusive ad un management istituzionale o aziendale disorientato e alla ricerca di nuove soluzioni, ma alla fine ‘comprensibilmente’ tentato dalle scorciatoie (‘umano, troppo umano’…). Tutto ciò conferma, se mai ve ne fosse bisogno, che rischiare la propria parola è a tutti gli effetti una azione, e che fare teoria è uno dei tanti modi di fare pratica: con buona pace di coloro che propongono e sostengono invece una opposizione dicotomica tra la presunta astrattezza della parola e la salvifica concretezza del fare. Rileggendo i materiali che via via (nel tempo, appunto) sono venuto elaborando sul costrutto di competenza, mi sono dunque domandato perché questo oggetto mi abbia attratto con tanta intensità e continuità (che cosa ‘ci ho visto’; di che cosa ‘mi parlava’; e non solo quindi a che cosa ‘mi serviva’) al di là della sua emergenza nel dibattito e nelle pratiche: non tanto ‘per quali ragioni questo è divenuto un tema emergente’, di cui valeva quindi la pena occuparsi, quanto piuttosto ‘perché questo oggetto mi ha attratto[5] tanto da farmi contribuire personalmente in modo così consistente alla sua affermazione come tema-chiave’ in tanti contesti diversi (istruzione e formazione; orientamento e servizi per il lavoro; imprese e pubblica amministrazione). In altre parole: che cosa, al di là del suo contenuto per così dire ‘pubblico e manifesto’, questo concetto ha rappresentato per me, tanto da portarmi a costruire con esso un legame così intenso? Indugiando su questo pensiero (prendersi il tempo per sostare su un pensiero è un esercizio che siamo sempre più tentati di sacrificare sull’altare del fast moving, della velocità, della rapidità e della accelerazione come presunta ‘condizione di successo’), mi è apparso progressivamente sempre più chiaro che ciascuno dei contributi in cui si articola questo volume si è originato in relazione ad una fase precisa della mia vita personale e del mio percorso intellettuale e professionale: fase che ogni volta certo si è collocata tra opportunità contingente (la risposta ‘reattiva’ alla richiesta di un committente, e all’aprirsi di uno spazio di intervento consulenziale, di ricerca o di formazione) e scelta strategica (lo scommettere proattivamente su questo tema come oggetto ‘ineludibile’ dello scambio socio-istituzionale, come poi in effetti è stato, e ancora è; e ancora più, il ‘vederlo’ come tema particolarmente ricco di significato, come ‘bene comune’ e risorsa per una pluralità di soggetti). E ho ad un certo punto compreso che ogni nuovo contributo che mi è capitato di elaborare si è sempre generato tra caso e necessità (J. Monod), tra vincolo e possibilità (M. Ceruti), tra progetto e destino (G. C. Argan), ed è così che ho nel tempo ‘costruito la mia storia’ sulla competenza, con ciò prendendomi i miei rischi: intellettuali, professionali e di mercato (basti pensare alle critiche anche severe e in qualche caso particolarmente autorevoli che il costrutto di ‘competenze trasversali’[6] ha ricevuto in questi anni, insieme al grande consenso che ne ha accompagnato l’emersione, l’affermazione, lo sviluppo; così come è accaduto per il costrutto stesso di ‘competenza’[7]). E ho compreso anche che la struttura, il contenuto, il linguaggio dei miei interventi, nelle diverse ‘fasi’ in cui si sono scanditi, non avevano a che fare soltanto con il merito del tema che stavo di volta in volta trattando (le definizioni e i concetti; le applicazioni nelle organizzazioni; i dispositivi istituzionali; le implicazioni professionali) e con ciò che accadeva ‘là fuori’, ma anche con la dinamica interna del mio percorso di riflessione, con le tappe che lo scandivano, con le finalità, gli scopi e i progetti personali che in progress vi costruivo ‘qui dentro’, a partire dalle mie caratteristiche, risorse, intenzioni; e con le emozioni che i diversi tipi di feedback che venivo via via ricevendo dalle persone, e dal mondo più in generale, erano in grado di sollecitarmi. La competenza ha costituito solo uno degli elementi di una ampia mappa concettuale con la quale progressivamente ho rappresentato e riorganizzato ‘il mio mondo’: occuparmi di competenza mi ha portato a occuparmi di caratteristiche e risorse personali (che rappresentano un mondo, a loro volta), e poi delle condizioni e delle modalità della loro combinazione, della loro integrazione, della loro acquisizione, del loro sviluppo, della loro declinazione in comportamenti professionali. E ad occuparmi di apprendimento, orientamento, accompagnamento, transizione, socializzazione, transfer e transfert, bilancio, coaching, counseling, e tanto altro. E ogni volta questo mi ha messo a confronto, riflessivamente, con la mia esperienza. Nel tempo, la mappa dei concetti già tante volte incontrati sui libri si è articolata, arricchita di elementi e di legami tra di essi, ‘inverata’ a fronte delle pratiche sul campo che sono venuto ideando, progettando e realizzando, e cioè di quello che chiamo ‘attraversamento personale’: esercizio che richiede impegno, costanza, tenacia, non di rado fatica, fino alla dedizione; ma assolutamente necessario se vogliamo avere in dono ciò che chiamo ‘effetto di verità’: la straordinaria sensazione che non solo le cose che diciamo hanno un significato che condividiamo con gli altri, ma sono anche ‘vere’, e hanno un senso per noi. Costruire questo volume, raccogliendo quanto nel tempo sono venuto elaborando e scrivendo sul tema della competenza, ha implicato per me ricostruire la mia esperienza (di ricerca, insegnamento e formazione, consulenza), e cioè fare il mio personale ‘bilancio’ al riguardo, e comprendere ancor meglio (lo avevo già compreso, tanto che ne parlo in più di uno dei contributi contenuti nel volume) da un lato quanto questo oggetto abbia rappresentato per me una sorta di chiave di lettura più generale, una metafora del tutto, il prisma attraverso il quale ‘guardare il mondo’ (le persone, il lavoro, le organizzazioni, l’esistenza); e dall’altro quanto esso abbia costituito per me il simbolo del ‘viaggio’ stesso della vita (la mia Itaca personale, come la méta che gli struggenti versi di Kavafis hanno reso indimenticabile, e che non a caso mi capita di richiamare in più di una occasione, anche nel testo). Questo volume contiene il riferimento a molte delle cose che ho visto nel mio viaggio verso la mia Itaca, e alle tante, tra queste, che ho deciso di portare con me; e soprattutto contiene quelle che ho personalmente elaborato e ‘trasformato’ durante il viaggio. Anche per questo, alla fine ho deciso di non modificare i testi originali, anche quando questi (come è il caso, ad esempio, degli editoriali della rubrica su ‘Competenza e formazione’, pubblicati sulla rivista Professionalità) contengono specifici riferimenti al contributo degli autori che di volta in volta venivano da me ospitato nella rubrica, e che non viene qui pubblicato[8]. Le ragioni qui dentro per cui parlo di competenza; il linguaggio con cui ne scrivo e il modo in cui ne parlo; i contenuti che seleziono; i risultati della mia riflessione in termini di argomentazione, modellizzazioni, implicazioni, indicazioni: sono tutti elementi che a loro volta ‘parlano di me’. Per questo, pur convinto come sono, con Lacan, che la verità ‘a dirla tutta non ci si riesce’, penso che questo volume contenga un poco più di verità su di me, rispetto a tutti gli altri che ho finora pubblicato. Rileggendo il testo prima di darlo definitivamente alle stampe, mi è venuto da pensare: qui più che altrove, de te fabula narratur. [1] Cfr. P. G. Bresciani Presentazione. Le ragioni di questo volume in Capire la competenza. Teorie, metodi, esperienze dall’analisi alla certificazione. Franco Angeli 2012. [2] Sono particolarmente grato a G. Varchetta per avermi suggerito questa pista di riflessione, proponendo alcune sue considerazioni al riguardo, nella bella recensione che ha voluto dedicare al mio volume precedente, pubblicata su Rivista AIDP n.47 Dicembre 2013. [3] Per chi vi fosse interessato, al rapporto con l’esperienza e con l’identità ho dedicato qualche considerazione in Il mestiere di vivere nella società delle transizioni, in P. G. Bresciani, M. Franchi Biografie in transizione. I progetti lavorativi nell’epoca della flessibilità, Franco Angeli 2006. [4] cfr. Consonanze. Etica, estetica e competenze, prefazione a G. Cepollaro Le competenze non sono cose, Guerini & associati 2008. [5] Si deve a G. Le Boterf la definizione della competenza come ‘attracteur etrange’. [6] Si pensi al contributo di B. Rey, il cui straordinario Ripensare le competenze trasversali (Franco Angeli, 2001) ho fortemente voluto come primo volume della collana in cui compare questo stesso volume. [7] Si pensi alle critiche pesanti di G. Israel, sia in alcuni dei suoi volumi, sia in articoli sulla stampa quotidiana. [8] Molti di tali contributi sono contenuti nel mio volume precedente: cfr. P. G. Bresciani (a cura) Capire la competenza. Teorie, metodi, esperienze dalla analisi alla certificazione, cit., nel quale non sono invece contenuti gli editoriali introduttivi qui riportati nella quarta sezione. Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non comprende. Blaise Pascal - Pensieri Molti che avevano preceduto il proprio tempo, hanno poi dovuto aspettarlo in luoghi piuttosto scomodi. Jerzy Lec - Pensieri spettinati Comments are closed.
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PIER GIOVANNI BRESCIANIPsicologo, Fondatore di Studio Méta & associati, Professore a contratto presso Università di Urbino |