IL CORAGGIO DI CREDERCI. LA VALUTAZIONE DEI SERVIZI PER IL LAVORO E IL DILEMMA DELLA LEADERSHIP11/11/2020 Se si confrontano i dati disponibili che riguardano elementi quali la spesa per il totale delle politiche attive del lavoro, la spesa complessiva dei PES (Public Employment Services), la percentuale di spesa rappresentata dai PES rispetto al PIL, il numero di addetti e il totale dei disoccupati registrati, le differenze che contraddistinguono negativamente la situazione italiana dalla media di quelle degli altri Paesi sono molte e rilevanti: ad esempio quella relativa all’ammontare complessivo delle risorse finanziarie che i diversi Paesi europei destinano alle politiche e ai servizi per il lavoro, e poi quella del totale degli addetti, e del loro rapporto con il totale dei disoccupati. Questi dati, uniti alle molteplici esperienze di ricerca e intervento sul campo nell’ambito dei servizi, sembrerebbero confermare da un lato l’insufficiente rilievo comparativamente assegnato nel nostro Paese a questo tipo di politiche e di servizi, e dall’altro la situazione particolarmente difficile (da alcuni definita ‘impossibile’) in cui sono stati progressivamente costretti gli operatori del sistema, ai quali vengono richieste prestazioni proceduralmente sempre più complesse, professionalmente sempre più sofisticate, economicamente sempre più ‘sensibili’ (si pensi all’impatto di tali prestazioni sulla 'condizionalità'), in una condizione logistico-organizzativa, contrattuale, procedurale, operativa sempre più critica. Conosciamo le contro-argomentazioni che vengono di norma presentate al riguardo, alle quali è corretto riconoscere il giusto rilievo.
Si sostiene che ricalcolando gli importi includendovi queste ulteriori risorse, emergerebbe una situazione nella quale il nostro Paese non sarebbe poi così distante come sembra dal benchmarck di spesa delle best pratice UE.
Si osserva che se la stessa mole di risorse fosse invece stata investita per costruire un sistema con un maggiore coinvolgimento di soggetti privati, selezionati anche in base alla professionalità e alla competenza dei propri operatori, e ricompensati in base ai risultati occupazionali effettivamente perseguiti ed alla loro qualità, consistenza e durata, oggi la performance complessiva del sistema italiano sarebbe comparabile con quella delle migliori pratiche internazionali. Dedicheremo un breve commento alle argomentazioni sopra richiamate, per motivare le considerazioni che vorremmo proporre su questo aspetto così controverso, complesso, e allo stesso tempo essenziale, del problema che stiamo trattando. Procediamo quindi schematicamente per punti sui due ‘contro-argomenti’ sopra richiamati, confidando di tracciare con queste note una possibile agenda per una discussione aperta e partecipata su un tema così cruciale.
Siamo consapevoli che da qualche tempo locuzioni come ‘riforme a costo zero’, o addirittura ‘fare di più con meno’ si sono affermate come linee guida del cambiamento sostenibile. Per ciò che riguarda i servizi per il lavoro, il fatto che le affermazioni sul loro impatto positivo sulla occupabilità e sulla occupazione di coloro che ne fruiscono incontrino difficoltà ad essere scientificamente documentabili ed evidence based, costituisce comprensibilmente un ulteriore fattore di sfiducia (fino allo scetticismo, da parte di alcuni) rispetto alla utilità di un investimento economico rilevante in tale ambito. La complessa ‘dimostrabilità’ dell’impatto economico finale di questo tipo di politiche e di servizi costituisce quindi una delle ragioni principali della particolare cautela, che è finora prevalsa nel decisore politico-istituzionale, ad investire in questo ambito risorse che non fossero percepite essenzialmente come temporanee e aggiuntive, come è il caso di quelle FSE. Pur comprendendo e rispettando le diverse valutazioni ed opzioni in merito ad un tema così controverso, riteniamo opportuno offrire il nostro contributo al dibattito, proponendo di seguito alcuni spunti di riflessione. Le considerazioni richiamate fino ad ora indicano con sufficiente chiarezza, ci pare, che è opportuno e necessario aumentare quantitativamente e migliorare qualitativamente (e soprattutto condividere socio-istituzionalmente) i sistemi di monitoraggio e valutazione a supporto delle decisioni e delle scelte di programmazione. Ma anche assumendo a riferimento tale prospettiva, a noi pare che, ‘attendendo Godot’, vi siano comunque almeno tre considerazioni decisive a favore di un impegno già ‘qui e ora’ per la destinazione a questo ambito di intervento di una dotazione di risorse finanziarie che sia all’altezza delle migliori pratiche internazionali.
Ma a noi pare che qualunque sia la cornice istituzionale e qualsiasi siano le regole del gioco, se si intende davvero allinearsi alle migliori pratiche internazionali (cosa che il nostro Paese ha già mostrato di avere la capacità di fare, se pure in modo episodico e non sistematico) nei servizi per il lavoro bisogna crederci: e conseguentemente assumersi la responsabilità, e quindi il rischio, di investire su di essi; perché decidere, nella società dell’incertezza, significa a nostro avviso anche (vorremmo dire: essenzialmente) affrontare questo tipo di sfide. È tempo per l’imprenditività, la leadership, il management; non è più il tempo (solo) per l’ordinaria amministrazione, per quanto digitalmente assistita. (Tratto da P. G. Bresciani, P. A. Varesi, Servizi per l'impiego e politiche attive del lavoro: Le buone pratiche locali, risorsa per il nuovo sistema nazionale, Franco Angeli, 2017) [1] cfr. per un dettaglio P.G.Bresciani, A.Sartori, Innovare i servizi per il lavoro. Tra il dire il mare… Apprendere dalle migliori pratiche internazionali Franco Angeli 2015.
1 Commento
Fabrizio Maritan
16/11/2020 10:28:10 am
Considerazioni ampiamente condivisibili. Sottolinerei l'aspetto legato al rapporto pubblico privato che va regolato con Protocolli o disciplinari Regionali/territoriali anche per superare un'eccessiva neo centralizzazione regionale. L'integrazione delle politiche di Formazione e lavoro per dare all'utenza indicazioni utili sui percorsi professionali e lavorativi. Un giusto equilibrio tra servizi digitali e presa in carico diretta Patto di servizio).. Un forte innesto di giovani laureati nei Servizi Pubblici con competenze digitali e linguistiche (inglese). infine un approfondimento andrebbe fatto sul "Modello istituzionale" dei Servizi. Agenzie regionali Pubbliche per il lavoro e la formazione con ancora troppi vincoli "pubblicisti" mentre ci sarebbe bisogno di più operatività ( es. possibilità di utilizzare fondi di varia natura compresi quelli UE ) e di un'organizzazione meno rigida e più aperta alle dinamiche della domanda e offerta. In altre parole proprietà e controllo saldamente pubblico ma gestione più snella e flessibile.
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